Trasferimento dei diritti di sfruttamento economico d’autore nelle opere su commissione.
La Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19335/2022 del 15 giugno 2022, è tornata ad occuparsi di diritti di sfruttamento economico d’autore e opere su commissione, ovverosia quelle opere la cui elaborazione è commissionata all’autore da un soggetto terzo a fronte di un corrispettivo in denaro.
A questo proposito i giudici della Suprema Corte hanno ribadito che “costituisce principio generale in materia di diritto d’autore quello per cui il committente è titolare, a titolo derivativo o originario (secondo contrapposte tesi dottrinali), ma in via esclusiva, dei diritti di sfruttamento economico delle opere dell’ingegno realizzate su commissione dal lavoratore autonomo, ove quest’ultimo si sia obbligato, dietro compenso, a svolgere un’attività creativa affinché la controparte possa poi sfruttarne economicamente i risultati, spettando invece all’autore i diritti morali“, già espresso in Cass. Civ. 8433/2020.
Nel caso oggetto della pronuncia, tuttavia ciò che era stato commissionato ad un’agenzia grafica da parte di una società farmaceutica non era una vera e propria “opera dell’ingegno” bensì la consegna di “files esecutivi che riproducevano informazioni necessarie per il confezionamento e l’illustrazione di prodotti farmaceutici”, ossia opere non creative.
I giudici della Cassazione hanno confermato la sentenza della Corte di Appello di Milano che aveva distinto l’elaborazione di un’opera dell’ingegno (ossia la creazione, da parte dell’appaltatore, di un file sorgente che non era oggetto dal contratto) dalla consegna del corpus mechanicum (i files esecutivi, non opera dell’ingegno) e hanno confermato che l’elaborazione del file sorgente (sviluppato dall’autore al di fuori del perimetro di quanto effettivamente commissionato con il contratto) era “solo un passaggio operativo per adempiere alla prestazione contrattuale di consegna dei files esecutivi” e che pertanto i diritti sull’opera (i.e. sul file sorgente) non potevano spettare al committente non essendo oggetto del rapporto contrattuale.
Nell’interessante pronuncia, i giudici della Corte, in ogni caso, si sono soffermati sulla questione, ampiamente discussa in dottrina, relativa alla natura di acquisto “a titolo originario” o “derivativo” dei diritti di sfruttamento economico d’autore sull’opera da parte del committente, fermo restando che è oramai pacifico che i “diritti morali” d’autore sono ritenuti “inseparabili dalla persona dell’autore, irrinunciabili e imprescrittibili”.
In particolare, con la pronuncia dello scorso mese di giugno, la Corte di Cassazione fa esplicitamente propria la teoria che ritiene che l’acquisto dei diritti da parte del committente sia “derivativo, ma effetto del contratto con l’impresa committente, secondo uno schema concettuale analogo a quello disciplinato dal codice per la vendita di cosa futura ex art. 1472 c.c.”, in virtù del quale l’acquisto della proprietà si verifica non appena la cosa viene ad esistenza.
Alla luce di quanto stabilito dalla Suprema Corte, è quanto mai opportuno stabilire sin da subito nei contratti di appalto/prestazione d’opera per iscritto quale sia l’opera che l’autore deve realizzare in favore del committente e, soprattutto, che tutti i diritti di sfruttamento economico d’autore su qualsivoglia materiale/opera realizzata nell’ambito dell’appalto/prestazione d’opera spettano sin dal momento della loro realizzazione al committente, facendo comunque salvi i diritti morali che rimarranno dell’autore.